Devo ringraziare mia madre se sono convinto che la vita sia bella, perché lei mi mostrò cosa succede a chi pensa il contrario.
Mia madre è stata la peggior miglior madre possibile. Mia madre aveva un dolore profondissimo.
Mia madre era tossicodipendente.
Non so quando cominciò, i racconti di un tossico sono spesso illusioni, sogni e bugie. So che a diciannove anni si fece due anni di carcere a Roma, per uno spinello. Lei e gli altri "non garantiti" che furono presi in una retata, uno di quei "scandali" che coinvolgono le "persone bene" solo per un paio di giorni, salvo poi assolvere i figli dei "pezzi grossi" e far pagare tutto a chi non era "di buona famiglia". So che là conobbe persone e situazioni che la portarono rapidamente al "buco". So che quell'esperienza l'ha ferita dentro, mortalmente. Spero che chi l'ha condannata sia morto tra i più atroci dolori, anche se fece il suo lavoro applicando la legge. Perché sono sicuro che fu quello il motivo per cui cominciò a odiarsi e a odiare il mondo. Due anni di "gabbio" per una canna, all'età di vent'anni. C'è chi si è suicidato per molto meno. Follia delle leggi repressive.
Ricordo perfettamente quando scoprii la verità, a 11 anni, aprendo una scatoletta di ferro, che un tempo conteneva sigarette turche.
Dentro trovai la siringa, il cucchiaino sporco, un laccio emostatico e una bustina con ancora residui di polvere giallina.
A quell'età leggevo già i fumetti di Andrea Pazienza, sapevo cos'era quella cosa. Chiusi la scatola, la rimisi al suo posto e non ne feci cenno con mia madre.
E quel giorno capii il perché dei tanti viaggi a Palermo e a Belgrado (dove si trovava la migliore clinica per disintossicazione dell'est, forse l'unica). Quel giorno capii perché dopo la chiusura della libreria le cose di casa scomparivano improvvisamente, la macchina da scrivere Olivetti degli anni '30, i servizi da caffè turchi, i libri antichi... più passava il tempo più la casa si svuotava.
Mio padre aveva rinunciato da un po' di tempo a lei, disgustato dal desiderio distruttivo di mia madre, infuriato per il fallimento del progetto libreria, forse desideroso di un po' di pace e amore.
Io passai un po' di tempo nel limbo dei drogati, mandato in giro a a fare la questua dai preti, io che ero cresciuto in un ambiente fortemente anticlericale. Andavo in giardino a giocare con gli amici, e tornavo a casa a vedere se mia madre stava bene, le portavo dell'acqua, e non capivo perché soffriva, perché vomitava, perché era aggressiva e violenta, per poi calmarsi improvvisamente e addormentarsi con la sigaretta accesa. Non capivo, non volevo capire che succedeva.
Poi un giorno, mentre camminavamo per strada, si avvicinarono due ragazzi, presero sotto braccio mia madre e dissero "Tributaria, ci segua, per piacere."
Lei cercò di farmi andare via, dalla nonna, ma loro negarono il permesso, temevano che io filassi a casa o avvertissi qualcuno (chi?).
La"perquisa" è una delle cose più umilianti del mondo, specialmente se sai di essere in torto.
Poi portarono via mia madre, accusa "Detenzione e spaccio".
Lei si fece un paio di anni dentro, io andai da mio padre, ancora adesso mi chiedo perché non abbia fatto nulla per allontanarmi da quel posto. Forse era solo stanco e stufo del dolore che era capace di procurare mia madre.
Lei uscì, incontrò uno psichiatra, fraterno allievo di Basaglia, che "l'adottò", procurandole un lavoro "protetto", dandole un senso alla vita, cercando di costruire un percorso di recupero che non fosse il solito metadone o la violenza delle comunità. Perché lei non ce la faceva, non si sentiva una "drogata" qualsiasi. Aveva cultura, conosceva le lingue, era intelligente. Ma debole e indifesa. Si odiava per la dipendenza, mi ripeteva di continuo di non drogarmi mai, che è uno schifo, una vita di merda. Come se non mi bastasse l'esempio, per evitare la "polverina".
Ma la bestia nera attendeva l'occasione per rifarsi viva. E l'occasione venne quando mia madre provò a lavorare in un ambiente "normale", una cooperativa sociale. La cattiveria, la competitività del lavoro e un bastardo drogato di merda, uno di quelli "drogati dentro", la ributtarono nel gorgo.
Io ero tornato a vivere con lei, in un'altra casa più piccola ma in un posto tranquillo e lontano dai brutti ricordi. Avevo appena fatto 18 anni, la patente, avevamo appena comprato una macchina nuova, niente di che, una piccola renault 5. Io ero riuscito finalmente a farmi piacere la scuola, d'estate cercavo dei lavoretti per aiutare in casa. Sembravamo una tranquilla piccola famiglia.
Ma le pause in bagno aumentarono di numero e durata. Mia madre perse il lavoro, cominciò a fare lavori sempre più assurdi, fino a fare la badante di poveri vecchietti che, prima o poi, inesorabilmente morivano.
Mancavano i soldi, abbondavano le illusioni. Lei addirittura mi disse che dovevo fare l'università. "Con quali soldi", le dicevo io, "che non ne abbiamo nemmeno per mangiare, che abbiamo gli ufficiali giudiziari alle porte un giorno sì e l'altro pure."
E lei, con quelle palpebre a spillo, la voce strascicata, insisteva, continuava, ripeteva sempre lo stesso disco.
"Pulisciti" le dicevo, "e io farò l'università!"
Era come parlare a una tomba. A casa giravano persone sempre diverse, gli amici si allontanavano e i "colleghi" di buco aumentavano. Dovevo nascondere i mei soldi, le mie poche cose. E di nuovo scomparivano oggetti, libri, piccole povere cose trasformatein un'illusione di paradiso chimico.
Di nuovo ci trovammo senza elettricità, al buio, al freddo.
Finché non ce la feci più. Approfittando della chiamata alla leva firmai da volontario, nemmeno dissi a mia madre dov'ero stato destinato. Fu lei a scoprirlo, mobilitando i Carabinieri.
Mi sposai, in un'altra città, me ne andai lontano, pur di evitare quello schifo. Poi la rabbia, il dolore, la paura distrussero il mio matrimonio, e io mi trovai a un passo dalla strada di mia madre. Credo fu l'orgoglio, il desiderio di dimostrare al mondo che io sono migliore di tanti altri che mi salvò dal baratro. Tornai a vivere nella mia città, per un po' con mia madre, poi con la mia nuova compagna. Feci i lavori più pesanti e faticosi, m'iscrissi a un corso di meccanico, con grande delusione di mia madre, che mio voleva "intellettuale". Provai anche a fare l'università, ma la ferriera mal si conciliava con lo studio, peccato.
Lei aveva il fegato rovinato da anni di dipendenza e da una serie di epatiti, ancora adesso mi chiedo come fece a non contrarre l'AIDS. La fortuna dei pazzi?
Lei entrava e usciva dagli ospedali per curare quel che restava del fegato, ridotto a una massa gonfia e malata.
Un martedì la stavo accompagnando di nuovo in ospedale, e lei cercava ancora di convincermi a lasciare il corso di meccanico di moto. Io le ri-spiegai che sin da piccolo amavo i motori e le moto, che non m'interessava di avere le mani sporche di grasso se mi piaceva quello che stavo facendo, che era stata lei a dirmi di fare ciò che piace nella vita. Lei stessa, che voleva fare le magistrali, fu costretta a fare le commerciali. Una scuola che odiava.
Poi mi voltai, la guardai negli occhi e le dissi " Sarebbe ora che la smettessi di pensare a me, io ho quasi trent'anni, riesco a badare a me stesso alla grande e so quello che faccio. Pensa un po' a te stessa, cerca di volerti bene, una volta tanto. Fà un qualcosa per te!"
Il giorno dopo, il 5 maggio 1999, lei morì, per emorragia interna, annegata nel suo sangue marcio.
Mia madre era bellissima, era dolcissima, era triste e bisognosa di amore.
Quando andai a fare il riconoscimento le chiesi perché se n'era andata così all'improvviso, senza darmi il tempo di raccogliere la sua storia, così come mia nonna, i miei bisnonni, mio prozio Pino e tante persone che io ho amato e che avevano tanto da raccontare. Purtroppo non poteva più rispondermi.
Adesso, alcune sere, prima di addormentarmi, sento ancora quella carezza sulla testa che mi dava quando ero piccolo e veniva a salutarmi, credendo che io fossi addormentato. Io amavo quella carezza, e facevo finta di dormire per riceverla e per scivolare nel sonno sereno e tranquillo, lontano dai mali del mondo e dai miei piccoli dolori quotidiani.
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Mia mamma
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